mercoledì 22 dicembre 2010

Alla ricerca della propria vocazione di vita


Beh, vi espongo un dubbio che mi viene da un po'...
Chi ha deciso che lo scopo della propria vita debba essere per forza il matrimonio o una vita con una donna?
Se invece la mia vita fosse destinata a qualcos'altro? Chi dice che la mia vocazione non sia il sacerdozio?
Che ne pensate voi.. numerosissimi lettori?

...sui rapporti tra ragazzo e ragazza...

Ciao a tutti, non so bene cosa scrivere, ma sento che ho qualcosa da dire, anche se non è ben chiaro in mente per ora.. alla fine del blog lo rileggerò e magari capirò anche io quello che penso.
Scrivere è a volte un modo per evadere, una specie di valvola di sfogo che aiuta a chiarire cuore e cervello, e allo stesso tempo un modo per immaginare un posto e un tempo in cui tutto funziona, in cui non ci sono fraintendimenti ne tentativi di prese in giro.

La situazione sentimentale è spesso la cosa che ci condiziona di più, possiamo passare tristi o felici una giornata semplicemente per aver ricevuto o no un messaggio.. io penso di essere ad un livello ancora più grave, per me è fantastico il sottile ma eloquente gioco di sguardi che nasce tra due persone che nutrono dell'interesse uno per l'altra. Non credo che ci sia nulla di più irresistibile di un'occhiata fatta per caso, come diceva Paola Turci "è questione di sguardi ..o no, tu per come mi parli, è questione di sguardi, è un attimo così, così magnetico", ma sto divagando...
Dicevo, la situazione sentimentale spesso è la cosa che condiziona maggiormente la nostra giornata (specie per un patetico e patologico sognatore come me), ed è la cosa che esprimiamo di meno o che comunque facciamo più fatica a confrontarci. In genere si ha paura di venire fraintesi, si ha paura delle voci, dei pareri degli altri, dei rapporti che potrebbero guastarsi ecc.. la lista potrebbe essere infinita!
Ma io mi chiedo: è possibile che sia tutto così complesso? Se si parla con qualcuno per più di 7 secondi subito che c'è qualcuno che pensa che ci stai provando..
Io dico in breve quello che ho già detto:
Provarci con una ragazza così tanto per fare è roba da diciottenni.. e non credo che funzioni così alla veneranda età dei 26 anni. Voglio trovare una ragazza con cui condividere dei valori, delle opinioni, che è cosa ben più importante di tutto il resto! Mi spiego.. non credo sia utile mettersi insieme a qualcuno facendo la classica richiesta di uscire o di mettersi insieme, per poter costruire un rapporto che funziona è necessario che le due persone condividano valori ed interessi, e che una rapporto di amicizia si trasforma naturalmente, se entrambi ne hanno l'interesse, in qualcosa di più profondo. Non mi stancherò mai di dirlo, tutto deve nascere tra due persone che si trovano bene insieme!

lunedì 13 dicembre 2010

Impegno, rispetto e centimetri

Prendo spunto da un paio di cose che mi sono venute ieri in mente durante l'incontro di pallavolo, ovviamente non sono Al Pacino, quindi le dico un po' a modo mio.

Lo sport (e la vita!!) è questione di tempismo: e questo nella pallavolo si vede tantissimo.. un salto mezzo secondo in anticipo o in ritardo e si manca la palla, un palleggio un centimetro spostato e si fa un doppio, una ricezione con le braccia un centimetro spostate e la palla schizza via.. la difficoltà è non lasciarsi perdere quei centimetri, quegli attimi. La vita è fatta di attimi. Una squadra che ha il coraggio di chiamarsi squadra DEVE lottare per ogni centimetro, per ogni frazione di secondo perché se andiamo a sommare tutti quei centimetri per cui si ha lottato otteniamo la differenza tra vincere e perdere. E in una squadra i compagni devono aiutarsi a combattere l'un l'altro, mentre gioco io voglio sapere che ci sono altre 5 persone che sono disposte a lanciarsi a terra per darmi la palla nel miglior modo possibile in modo che io possa schiacciarla di la e fare punto. E io lo faccio perchè loro si meritano, dopo la fatica che hanno fatto, il punto! E so perfettamente che le altre 5, quando io vado a terra, ce la metteranno tutta per non rendere vana la mia fatica.
Spesso facciamo le cose senza impegno, siamo stanchi, non abbiamo voglia, a volte nemmeno sappiamo perché.. fare le cose senza impegno è la cosa che fa incazzare di più. Andare a scuola, giocare a pallavolo, iniziare una relazione con un ragazzo senza impegno vuol dire prendere per il culo.
Prendere per il culo innanzitutto te stesso: è come se ti dicessi che non vale la pena impegnarsi, è come se dicessi che tanto non sei capace.. non sfrutti quello che sei ed è il miglior modo per tradire te stesso. E se finisse qua direi "sono affari tuoi, chemmenefrega", ma non è così.
Fare le cose senza impegno vuol dire tradire chi ti vuol bene, se vado a scuola senza impegno tradisco i miei genitori, che vanno a lavorare apposta per mandarmi, tradisco quella che sarà la mia famiglia, perché non preparo un futuro ai miei figli, iniziare una relazione con un ragazzo senza impegno.. beh, è prenderlo in giro. Giocare a pallavolo senza impegno è tradire la fiducia di chi ha deciso di metterti in campo, che pensa che tu possa dare il massimo in quel momento.
Terza cosa, giocare senza impegno vuol dire tradire le 5 persone che stanno giocando con te e le altrettante che sono in panchina, che non stanno giocando e che vedono te in campo!
Tante cose si possono fare senza impegno, si può crescere, studiare, ballare, cantare, cucinare, correre, allenarsi, giocare.. vivere! Si può vivere senza impegno, non è vietato.. Seneca dice (parafraso perché me la ricordo poco) che la vita se sai come usarla è lunga, è molto breve invece la parte di vita che viviamo davvero, è questa non è vita ma è tempo che passa, non è vivere ma sopravvivere (grazie prof. Fontanello). Cosa vuol dire? Vuol dire che la vita quella vera è quella che si suda, che aspettare che le cose accadano è galleggiare anziché nuotare, è aspettare che la corrente ti porti dove vuole lei. Non si fa nulla se non si ha impegno! Qualcuno che è capace potrebbe dire "come? io sono capace e vinco anche se non mi impegno", è vero, vinci una partita, una inutile e stupidissima partita, e non ti accorgi che in realtà perdi contro te stesso.

venerdì 24 settembre 2010

Vita da scultori!

Avevo scritto che sarei intervenuto un po' più frequentemente... hehe... ma un po' la voglia, un po' le mille cose che mi sono capitate mi hanno fatto perdere la tranquillità che mi serve per mettermi alla ricerca; ma vediamo se ora riesco ad essere leggermente più introspettivo.

Devo dire che la voglia di tornare a scrivere me l'ha fatta tornare Andreina, quindi innanzitutto ringrazio lei... ma la voglia di mettermi in gioco mi è tornata a Salice, grazie alle persone che ho incontrato e che mi hanno stimolato: i ragazzi (naturalmente c'è stato qualcuno un po' più incisivo... ma non mi metto a scrivere i nomi.. tanto li sapete)! Sono davvero contento di come sono venute alcune delle formazioni, altre potevano andare notevolmente meglio, ma va beh, fa parte della vita cercare di migliorarsi!

Migliorarsi, bella parola… mi è capitato di riflettere su questo con le ragazze di pallavolo e credo che migliorarsi debba essere una delle aspirazioni di ognuno. Ma come ci si migliora? Nella pallavolo, come nella vita è necessario esercitarsi, e farlo bene: i compiti in classe sono degli esercizi per gli esami, gli esami stessi sono degli esercizi per le sfide della vita; aggiungo che i fidanzati sono degli allenamenti alla vita coniugale… Mi spiego meglio con un esempio che avevo fatto ad una mia animata qualche tempo fa. Scegliersi un fidanzato è un po' come cercare di scolpire una statua: nelle statue prima si sgrossa il blocco di marmo con attrezzi più grossolani, e poi piano piano si va di scalpellino per rifinire le piccole cose che rendono una statua da accettabile a meravigliosa. Io penso che nella vita sia un po' così… finché si è adolescenti si tende a non scegliersi troppo il partner, si guarda l'aspetto fisico, si guardano due cosine e va bene così, ma crescendo si capisce che le esperienze passate hanno avuto proprio lo scopo di sgrossare i possibili partner in base a tutte quelle cose che rendono le persone tutte diverse tra loro, e più si fa quel lavoro di scalpellino più il rapporto passa da accettabile a meraviglioso.

Il mio consiglio è proprio questo: non abbiate paura di essere esigenti!

mercoledì 28 aprile 2010

Un tema poco discusso... religione e scienza

Questo è palesemente copiato da qui:
http://www.lestinto.it/articoli/limite-di-ragionevolezza/#comment-75975
Non potevo leggere una cosa così e non condividerlo con voi.

Nel 1941 Albert Einstein partecipò ad un convegno su scienza, filosofia e religione nel loro rapporto con la democrazia. Secondo il grande scienziato, scienza e religione hanno campi (realms) nettamente distinti, tuttavia esistono forti relazioni e, soprattutto, reciproche dipendenze: la religione deve imparare dalla scienza, ma la scienza non vi sarebbe se gli scienziati non fossero mossi da una sorta di sentimento religioso.
Nel corso della sua relazione, il cui testo è stato successivamente pubblicato in Ideas and Opinions ed è disponibile su Internet Sacred Text Archive, Einstein riassunse il suo pensiero con una immagine:

La scienza senza religione è zoppa e la religione senza scienza è cieca.

Questa affermazione ricalca una celebre frase di Kant nella quale, però, non vi erano scienza e religione bensì sensibilità e intelletto, e quest’ultima era vuota, non semplicemente zoppa.
La posizione di Kant sul rapporto tra religione e scienza era infatti ben diversa da quella di Einstein: la religione viene di fatto “ridotta” alla moralità razionalmente indagata.
Se prendiamo Einstein e Kant come due estremi della riflessione sui rapporti tra fede e ragione, non ci sono dubbi: Joseph Ratzinger è sicuramente più vicino al primo che al secondo.

Non mi risultano pubblici apprezzamenti della posizione di Einstein, però Benedetto XVI ha in più occasioni criticato la concezione kantiana della religione, ad esempio nel Discorso ai Membri della Curia e della Prelatura Romana per la presentazione degli auguri natalizi del 2005, quando cita esplicitamente Kant come momento di totale rottura del rapporto tra Chiesa ed età moderna (per un paragone: il processo a Galileo, conclusosi con l’abiura, è stato semplicemente “un inizio molto problematico”).

Dal momento che Ratzinger viene spesso chiamato “il papa teologo”, studiare più da vicino le sue idee non può che essere interessante.

Di cosa si sta parlando
Sul sito della Santa Sede è possibile accedere ai vari discorsi, omelie, lettere e messaggi di Benedetto XVI. La prima impressione, leggendo i principali documenti nei quali viene affrontato il tema del rapporto tra fede e ragione, è di ambiguità: Ratzinger usa i termini fede, religione e Chiesa (con la maiuscola, presumibilmente riferendosi alla sola Chiesa Cattolica) come se fossero perfetti sinonimi, e lo stesso accade per scienza, tecnica ed età moderna.
Questa ambiguità è sicuramente dovuta alla natura dei testi, rivolti al grande pubblico e non ad altri esperti: è difficile ammettere che un teologo confonda la fede con la religione oppure creda che dal seicento in poi vi siano stati solo scienziati.
Rimane comunque la perplessità per una simile scelta: Ratzinger è evidentemente più pontefice che teologo, dal momento che preferisce correre il rischio di farsi fraintendere per aver semplificato troppo, piuttosto che quello di non farsi capire per non aver semplificato abbastanza.

Dio
Se a parlare è il papa, il punto di partenza del discorso su razionalità e fede non può che essere Dio.

Sulla natura di Dio il titolo della prima enciclica di Benedetto XVI lascia pochi dubbi: Deus Caritas Est, Dio è amore. Ma, oltre ad essere amore, Dio è anche logos, ragione primordiale, «sorgente originaria di ogni essere», «principio creativo di tutte le cose» (Deus Caritas Est, 10).
È bene evidenziare come amore e ragione non siano attributi di Dio ma sue essenze. In altre parole, per Ratzinger non esistono la razionalità e l’amore come concetti autonomi e indipendenti da Dio che, più o meno necessariamente, possiede razionalità e amore: dalle parole dell’enciclica si evince l’esatto contrario, ossia che Dio è l’amore e la razionalità. Questi concetti vengono definiti a partire da Dio, non Dio a partire da questi concetti.

In questa ottica è quindi privo di senso affermare che Dio possa essere non razionale, possa agire non solo contro la ragione, ma anche semplicemente oltre la ragione.

La natura dell’uomo
L’uomo è immagine di Dio e quindi, banalmente, anche l’uomo è razionale.
Tuttavia, e su questo non ha dubbi nemmeno Ratzinger, l’uomo si comporta, spesso e volentieri , in maniera irrazionale. Come è possibile che un essere razionale si comporti, contro la propria natura, in maniera irrazionale?

Da un punto di vista logico non vi sono particolari difficoltà: la ragione è solo una caratteristica dell’uomo, non l’essenza, come invece avviene per Dio. Rimane invece la difficoltà di fatto: come accade questa irrazionalità, come accade che l’uomo si contraddica? Se si è concluso che l’uomo è per natura razionale, occorre poter spiegare perché a volte agisce contro la ragione, ossia contro la sua stessa natura.
Per un ateo è vero il problema contrario: la domanda che l’ateo deve affrontare è come sia possibile la razionalità dell’uomo, domanda alla quale la teoria dell’evoluzione fornisce una ottima risposta.

Equilibrio
Anche Ratzinger ha una buona risposta al suo problema: l’uomo agisce innaturalmente quando vi è uno squilibrio tra le diverse componenti della sua natura. Nella già citata enciclica, ad esempio, l’eros senza agape è disumanizzante (Deus Caritas Est, 5), priva l’uomo della propria natura.
A quale equilibrio si riferisce Ratzinger, quando parla del rapporto scienza e fede?

Il 19 gennaio 2004, presso la Katholische Akademie di Monaco, l’allora cardinale Joseph Ratzinger discusse di democrazia e religione con il filosofo Jürgen Habermas. Il testo delle relazioni è stato pubblicato, con il titolo Ragione e fede in dialogo, nel 2005 da Marsilio ed è disponibile sul sito di Caffè Europa.
Nel corso del suo intervento da Ratzinger espone alcune caratteristiche del discorso scientifico:

Ora, mi sembra evidente che la scienza come tale non può produrre un’etica e dunque una rinnovata consapevolezza etica non si realizza come prodotto di dibattiti scientifici. […]
A tale riguardo, esiste però una responsabilità della scienza nei confronti dell’essere umano in quanto tale, e soprattutto una responsabilità della filosofia nell’accompagnare criticamente lo sviluppo delle singole scienze e […] mantenere lo sguardo sull’insieme, sulle altre dimensioni della realtà umana, di cui nella scienza si possono mostrare solo aspetti parziali.

La scienza è parziale, incompleta ma responsabile.
Anche la religione, tuttavia, ha i suoi limiti:

[…] se il terrorismo è alimentato dal fanatismo religioso, come è, la religione è salvifica e risanatrice, o non piuttosto un potere arcaico e pericoloso, che crea falsi universalismi e perciò non induce all’intolleranza e al terrorismo? La religione non deve pertanto essere posta sotto la tutela della ragione e attentamente delimitata?

La conclusione di Ratzinger è, viste le premesse, scontata:

O forse religione e ragione dovrebbero limitarsi a vicenda e ciascuna mettere l’altra al suo posto e condurla sulla propria via positiva?

Ci sono due possibili interpretazioni di questa tesi. La prima assume ragione e scienza come sinonimi, come effettivamente Ratzinger sembra fare. In questo caso si hanno la fede-religione e la ragione-scienza che in un dialogo costruttivo si limitano a vicenda, con la filosofia, sembra, nel ruolo di arbitro.
La seconda interpretazione, invece, separa scienza e ragione, e in questo caso la fede limita la ragione, la ragione limita la fede mentre la scienza, pare di capire, viene limitata da entrambe ma non limita niente.

È comunque difficile districarsi nelle ambiguità lessicali di Ratzinger, e forse nessuna delle due interpretazione è corretta.

La ragione dell’uomo
L’irrazionalità umana nasce dunque da uno squilibrio, da un eccesso di ragione. E già qui viene qualche dubbio: come è possibile che l’irrazionalità, ossia il comportarsi contro ragione, derivi dall’usare la ragione?
O gli ictus che colpirono tempo fa Joseph Ratzinger non furono così piccoli come si dice, oppure ancora una volta è necessario scavare dietro le ambiguità terminologiche.

L’uomo è immagine di Dio, e ogni immagine è diversa dall’originale. La ragione umana non è dunque la ragione divina. Non può che essere così: Dio può comprendere cose che per l’uomo sono incomprensibili, ad esempio l’eucarestia, definita «una realtà che supera ogni comprensione umana» (Esortazione Apostolica Post-sinodale Sacramentum Caritatis). Comprensione umana, non divina (per quanto l’idea di un Dio perplesso si fronte al pane che si trasforma in carne solleticherebbe non poco la fantasia di molti protestanti).
L’irrazionalità umana nascerebbe quindi dall’affidarsi esclusivamente alla ragione umana, trascurando la ragione divina, ragione che ovviamente non possiamo conoscere, almeno direttamente. Con ogni probabilità sono la fede e la religione a portare agli uomini questa razionalità divina.

L’equilibrio è dunque tra ragione divina (conosciuta attraverso la fede e la religione) e ragione umana scientifica.

Limiti
La ragione scientifica, di fronte ad alcuni temi forti, che coinvolgono l’uomo, dovrebbe quindi fermarsi. Non è chiaro se il limite venga stabilito dall’alto, ossia dalla ragione divina e quindi dalla fede, oppure dal basso, ad esempio dalla filosofia se non dalla scienza stessa. Quando la scienza e più in generale la razionalità supera questo limite e cerca di comprendere realtà che non le competono, si ha l’irrazionalità.
È la tanto citata hybris della ragione:

Ma nelle nostre riflessioni si è anche mostrato che esistono patologie anche nella ragione (cosa che all’umanità oggi non è altrettanto nota): una hybris della ragione, che non è meno pericolosa, ma a causa della sua potenziale efficacia è ancora più minacciosa: la bomba atomica, l’uomo visto come un prodotto.

È ovvio che lo scienziato abbia delle responsabilità, anche se sarebbe più corretto dire che la responsabilità, più che degli scienziati, è della società con le sue esigenze e i suoi investimenti. La responsabilità, inoltre, riguarda sia quello che scienza e società fanno, ad esempio la bomba atomica ma anche i vaccini, sia quello che non fanno o che fanno parzialmente, ad esempio lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili oppure la ricerca sulle cellule staminali embrionali (il Catechismo della Chiesa Cattolica parla appunto di «peccati di pensiero, di parola, di azione e di omissione»).
I limiti che questa responsabilità comporta possono comunque essere valutati solo dal basso, dalla scienza e dalla società, in maniera razionale, valutando i pro e i contro di ogni scelta.

Per quanto riguarda la parzialità della scienza, non si capisce quale sia il problema. La scienza è parziale, e con questo? A parte il fatto che in questa parzialità vi è una pluralità di punti di vista che Benedetto XVI sottovaluta, ad esempio quando afferma (Discorso ai partecipanti al Convegno Ecclesiale della Diocesi di Roma ha affermato):

[…] iniziamo a liberare la ragione da quei limiti troppo angusti entro i quali essa viene confinata quando si considera razionale soltanto ciò che può essere oggetto di esperimento e di calcolo.

Esperimento e calcolo: una immagine stereotipata della scienza. Teniamo comunque per buona questa immagine: gli scienziati compiono esperimenti e scrivono lunghe e complicate equazioni. Ci si potrebbe chiedere: quando la scienza pretende di avere il monopolio della razionalità? Quando la scienza avrebbe stabilito che una poesia, un quadro, una preghiera, un romanzo, un matrimonio, una canzone, una chiacchierata con gli amici, un caffè, una partita di calcio sono privi di senso?
Forse qualche scienziato ha espresso questa opinione, ma uno scienziato non è la scienza (e il Papa non è Dio, ma questo è un altro discorso).

Questo discorso sui limiti della razionalità scientifica assomiglia un po’ ad una scenetta comica. Si immagini un amante della montagna che discute con un amante del mare. «Questa estate vado in vacanza a Tolmezzo!» dice il primo. Il secondo, invece di affermare semplicemente la sua preferenza per la Maremma, ribatte: «La tua visione impoverisce la ricchezza paesaggistica italiana e mondiale, il tuo voler ridurre le mete turistiche a paesaggi verticali e lunghe passeggiate priva l’uomo dell’importanza dell’orizzontalità e del nuoto. Per il tuo bene, è meglio che il tuo atteggiamento limitante e avvilente venga limitato dal mio amore per il mare, altrimenti le potenzialità dell’essere umano verranno irrimediabilmente compromesse!».

giovedì 4 febbraio 2010

Sei capace ad aspettare?

E' un po' un parolone.. vuol dire tutto e niente.. Immagino che naturalmente ognuno sia portato a dire: "si certo che so aspettare", ma il significato che intendo io è più complesso.

Il tempismo è l'essenza delle cose, la cosa migliore fatta al momento sbagliato può risultare sbagliata. Pensate ad una battuta fatta ad una persona con cui non hai la confidenza necessaria, o anche solo un gesto fatto un momento che non è opportuno. Secondo me la differenza fondamentale tra persona "simpatica" oppure "rompiscatole" è proprio questa, quello che è un rompiscatole non riesce o non sa quando è ora di fare le cose, e come risultato ha che assilla gli altri, fa cose fuori luogo e dunque risulta antipatico.     
Dunque anche in questo senso l'attesa diventa fondamentale, ma questa è solo un dettaglio di quello che voglio dire, giusto per farvi capire secondo me quanto sia importante.

A tutti noi è capitato di aspettare che succeda un evento, una cosa che è completamente esterna dalle nostre possibilità di controllo, e allora aspettare diventa l'unica alternativa, l'unica cosa che si può fare, e allora siamo un po' bravi.. anche se magari dentro siamo impazienti, ma se per esempio dobbiamo aspettare l'esito di un colloquio di lavoro.. più che aspettare non possiamo fare un tubo di niente.

Il punto centrale di questo discorso è che bisogna IMPARARE A FIDARSI DELLA PROVVIDENZA.. lo so, sembra una roba stupida, (ovviamente non sto parlando di determinismo, sono fermamente convinto che "homo faber fortunae suae") ma io credo anche che esista un Dio e che se si impara un po' di più a fidarsi di Lui, alla fine si è soddisfatti di quello che si diventa. Qui il discorso si complica..

Non voglio dire che "se fai quello che dice Dio sei felice".. questa sarebbe una stupidata.. il mio discorso è più sottile. Io ritengo che se uno segue alcuni valori è portato ad essere soddisfatto di se stesso, perché segue un principio che vuole seguire. Fin qui zero divinità. Faccio il passo successivo: io faccio quello che mi piace, sono felice e credo che queste cose che faccio portino la mia vita INEVITABILMENTE verso un tipo di vita che mi piace.. (esemplifico.. se uno dei miei valori fosse "le multinazionali fanno del male" non andrei a lavorare per una multinazionale se non per necessità e cambiando impiego appena possibile). Se credo che l'altruismo possa essere una qualità di cui voglio riempire la mia vita e tutti i giorni baso la mia vita sull'altruismo è ovvio che la mia vita futura avrà una grossa dose di altruismo.. no? E qui sta la Provvidenza! E' la capacità di ognuno di potersi fidare delle cose che fa.. e quindi aspettare prende il significato di "non volere tutto subito, ma di fidarsi del fatto che se si crede davvero in ciò che si fa e si basa il proprio progetto di vita su questo, la vita ti porterà a questo!".

Sembra che non ci sia un Dio in tutto questo, ma la scelta dei valori su cui basare la propria vita parte da li: come faccio a scegliere i valori su cui fondare le mie scelte di vita? Come faccio a sapere che le mie scelte non si riveleranno autodistruttive? Ovviamente io rispondo per me stesso: per esperienza so che le scelte fatte tenendo molto conto di Dio si sono rivelate giuste, mi hanno portato in luighi e condizioni mentali dove mai mi sarei aspettato di arrivare.. quindi.. io la mia scelta l'ho fatta. E tu? Sei capace ad aspettare?