mercoledì 28 aprile 2010

Un tema poco discusso... religione e scienza

Questo è palesemente copiato da qui:
http://www.lestinto.it/articoli/limite-di-ragionevolezza/#comment-75975
Non potevo leggere una cosa così e non condividerlo con voi.

Nel 1941 Albert Einstein partecipò ad un convegno su scienza, filosofia e religione nel loro rapporto con la democrazia. Secondo il grande scienziato, scienza e religione hanno campi (realms) nettamente distinti, tuttavia esistono forti relazioni e, soprattutto, reciproche dipendenze: la religione deve imparare dalla scienza, ma la scienza non vi sarebbe se gli scienziati non fossero mossi da una sorta di sentimento religioso.
Nel corso della sua relazione, il cui testo è stato successivamente pubblicato in Ideas and Opinions ed è disponibile su Internet Sacred Text Archive, Einstein riassunse il suo pensiero con una immagine:

La scienza senza religione è zoppa e la religione senza scienza è cieca.

Questa affermazione ricalca una celebre frase di Kant nella quale, però, non vi erano scienza e religione bensì sensibilità e intelletto, e quest’ultima era vuota, non semplicemente zoppa.
La posizione di Kant sul rapporto tra religione e scienza era infatti ben diversa da quella di Einstein: la religione viene di fatto “ridotta” alla moralità razionalmente indagata.
Se prendiamo Einstein e Kant come due estremi della riflessione sui rapporti tra fede e ragione, non ci sono dubbi: Joseph Ratzinger è sicuramente più vicino al primo che al secondo.

Non mi risultano pubblici apprezzamenti della posizione di Einstein, però Benedetto XVI ha in più occasioni criticato la concezione kantiana della religione, ad esempio nel Discorso ai Membri della Curia e della Prelatura Romana per la presentazione degli auguri natalizi del 2005, quando cita esplicitamente Kant come momento di totale rottura del rapporto tra Chiesa ed età moderna (per un paragone: il processo a Galileo, conclusosi con l’abiura, è stato semplicemente “un inizio molto problematico”).

Dal momento che Ratzinger viene spesso chiamato “il papa teologo”, studiare più da vicino le sue idee non può che essere interessante.

Di cosa si sta parlando
Sul sito della Santa Sede è possibile accedere ai vari discorsi, omelie, lettere e messaggi di Benedetto XVI. La prima impressione, leggendo i principali documenti nei quali viene affrontato il tema del rapporto tra fede e ragione, è di ambiguità: Ratzinger usa i termini fede, religione e Chiesa (con la maiuscola, presumibilmente riferendosi alla sola Chiesa Cattolica) come se fossero perfetti sinonimi, e lo stesso accade per scienza, tecnica ed età moderna.
Questa ambiguità è sicuramente dovuta alla natura dei testi, rivolti al grande pubblico e non ad altri esperti: è difficile ammettere che un teologo confonda la fede con la religione oppure creda che dal seicento in poi vi siano stati solo scienziati.
Rimane comunque la perplessità per una simile scelta: Ratzinger è evidentemente più pontefice che teologo, dal momento che preferisce correre il rischio di farsi fraintendere per aver semplificato troppo, piuttosto che quello di non farsi capire per non aver semplificato abbastanza.

Dio
Se a parlare è il papa, il punto di partenza del discorso su razionalità e fede non può che essere Dio.

Sulla natura di Dio il titolo della prima enciclica di Benedetto XVI lascia pochi dubbi: Deus Caritas Est, Dio è amore. Ma, oltre ad essere amore, Dio è anche logos, ragione primordiale, «sorgente originaria di ogni essere», «principio creativo di tutte le cose» (Deus Caritas Est, 10).
È bene evidenziare come amore e ragione non siano attributi di Dio ma sue essenze. In altre parole, per Ratzinger non esistono la razionalità e l’amore come concetti autonomi e indipendenti da Dio che, più o meno necessariamente, possiede razionalità e amore: dalle parole dell’enciclica si evince l’esatto contrario, ossia che Dio è l’amore e la razionalità. Questi concetti vengono definiti a partire da Dio, non Dio a partire da questi concetti.

In questa ottica è quindi privo di senso affermare che Dio possa essere non razionale, possa agire non solo contro la ragione, ma anche semplicemente oltre la ragione.

La natura dell’uomo
L’uomo è immagine di Dio e quindi, banalmente, anche l’uomo è razionale.
Tuttavia, e su questo non ha dubbi nemmeno Ratzinger, l’uomo si comporta, spesso e volentieri , in maniera irrazionale. Come è possibile che un essere razionale si comporti, contro la propria natura, in maniera irrazionale?

Da un punto di vista logico non vi sono particolari difficoltà: la ragione è solo una caratteristica dell’uomo, non l’essenza, come invece avviene per Dio. Rimane invece la difficoltà di fatto: come accade questa irrazionalità, come accade che l’uomo si contraddica? Se si è concluso che l’uomo è per natura razionale, occorre poter spiegare perché a volte agisce contro la ragione, ossia contro la sua stessa natura.
Per un ateo è vero il problema contrario: la domanda che l’ateo deve affrontare è come sia possibile la razionalità dell’uomo, domanda alla quale la teoria dell’evoluzione fornisce una ottima risposta.

Equilibrio
Anche Ratzinger ha una buona risposta al suo problema: l’uomo agisce innaturalmente quando vi è uno squilibrio tra le diverse componenti della sua natura. Nella già citata enciclica, ad esempio, l’eros senza agape è disumanizzante (Deus Caritas Est, 5), priva l’uomo della propria natura.
A quale equilibrio si riferisce Ratzinger, quando parla del rapporto scienza e fede?

Il 19 gennaio 2004, presso la Katholische Akademie di Monaco, l’allora cardinale Joseph Ratzinger discusse di democrazia e religione con il filosofo Jürgen Habermas. Il testo delle relazioni è stato pubblicato, con il titolo Ragione e fede in dialogo, nel 2005 da Marsilio ed è disponibile sul sito di Caffè Europa.
Nel corso del suo intervento da Ratzinger espone alcune caratteristiche del discorso scientifico:

Ora, mi sembra evidente che la scienza come tale non può produrre un’etica e dunque una rinnovata consapevolezza etica non si realizza come prodotto di dibattiti scientifici. […]
A tale riguardo, esiste però una responsabilità della scienza nei confronti dell’essere umano in quanto tale, e soprattutto una responsabilità della filosofia nell’accompagnare criticamente lo sviluppo delle singole scienze e […] mantenere lo sguardo sull’insieme, sulle altre dimensioni della realtà umana, di cui nella scienza si possono mostrare solo aspetti parziali.

La scienza è parziale, incompleta ma responsabile.
Anche la religione, tuttavia, ha i suoi limiti:

[…] se il terrorismo è alimentato dal fanatismo religioso, come è, la religione è salvifica e risanatrice, o non piuttosto un potere arcaico e pericoloso, che crea falsi universalismi e perciò non induce all’intolleranza e al terrorismo? La religione non deve pertanto essere posta sotto la tutela della ragione e attentamente delimitata?

La conclusione di Ratzinger è, viste le premesse, scontata:

O forse religione e ragione dovrebbero limitarsi a vicenda e ciascuna mettere l’altra al suo posto e condurla sulla propria via positiva?

Ci sono due possibili interpretazioni di questa tesi. La prima assume ragione e scienza come sinonimi, come effettivamente Ratzinger sembra fare. In questo caso si hanno la fede-religione e la ragione-scienza che in un dialogo costruttivo si limitano a vicenda, con la filosofia, sembra, nel ruolo di arbitro.
La seconda interpretazione, invece, separa scienza e ragione, e in questo caso la fede limita la ragione, la ragione limita la fede mentre la scienza, pare di capire, viene limitata da entrambe ma non limita niente.

È comunque difficile districarsi nelle ambiguità lessicali di Ratzinger, e forse nessuna delle due interpretazione è corretta.

La ragione dell’uomo
L’irrazionalità umana nasce dunque da uno squilibrio, da un eccesso di ragione. E già qui viene qualche dubbio: come è possibile che l’irrazionalità, ossia il comportarsi contro ragione, derivi dall’usare la ragione?
O gli ictus che colpirono tempo fa Joseph Ratzinger non furono così piccoli come si dice, oppure ancora una volta è necessario scavare dietro le ambiguità terminologiche.

L’uomo è immagine di Dio, e ogni immagine è diversa dall’originale. La ragione umana non è dunque la ragione divina. Non può che essere così: Dio può comprendere cose che per l’uomo sono incomprensibili, ad esempio l’eucarestia, definita «una realtà che supera ogni comprensione umana» (Esortazione Apostolica Post-sinodale Sacramentum Caritatis). Comprensione umana, non divina (per quanto l’idea di un Dio perplesso si fronte al pane che si trasforma in carne solleticherebbe non poco la fantasia di molti protestanti).
L’irrazionalità umana nascerebbe quindi dall’affidarsi esclusivamente alla ragione umana, trascurando la ragione divina, ragione che ovviamente non possiamo conoscere, almeno direttamente. Con ogni probabilità sono la fede e la religione a portare agli uomini questa razionalità divina.

L’equilibrio è dunque tra ragione divina (conosciuta attraverso la fede e la religione) e ragione umana scientifica.

Limiti
La ragione scientifica, di fronte ad alcuni temi forti, che coinvolgono l’uomo, dovrebbe quindi fermarsi. Non è chiaro se il limite venga stabilito dall’alto, ossia dalla ragione divina e quindi dalla fede, oppure dal basso, ad esempio dalla filosofia se non dalla scienza stessa. Quando la scienza e più in generale la razionalità supera questo limite e cerca di comprendere realtà che non le competono, si ha l’irrazionalità.
È la tanto citata hybris della ragione:

Ma nelle nostre riflessioni si è anche mostrato che esistono patologie anche nella ragione (cosa che all’umanità oggi non è altrettanto nota): una hybris della ragione, che non è meno pericolosa, ma a causa della sua potenziale efficacia è ancora più minacciosa: la bomba atomica, l’uomo visto come un prodotto.

È ovvio che lo scienziato abbia delle responsabilità, anche se sarebbe più corretto dire che la responsabilità, più che degli scienziati, è della società con le sue esigenze e i suoi investimenti. La responsabilità, inoltre, riguarda sia quello che scienza e società fanno, ad esempio la bomba atomica ma anche i vaccini, sia quello che non fanno o che fanno parzialmente, ad esempio lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili oppure la ricerca sulle cellule staminali embrionali (il Catechismo della Chiesa Cattolica parla appunto di «peccati di pensiero, di parola, di azione e di omissione»).
I limiti che questa responsabilità comporta possono comunque essere valutati solo dal basso, dalla scienza e dalla società, in maniera razionale, valutando i pro e i contro di ogni scelta.

Per quanto riguarda la parzialità della scienza, non si capisce quale sia il problema. La scienza è parziale, e con questo? A parte il fatto che in questa parzialità vi è una pluralità di punti di vista che Benedetto XVI sottovaluta, ad esempio quando afferma (Discorso ai partecipanti al Convegno Ecclesiale della Diocesi di Roma ha affermato):

[…] iniziamo a liberare la ragione da quei limiti troppo angusti entro i quali essa viene confinata quando si considera razionale soltanto ciò che può essere oggetto di esperimento e di calcolo.

Esperimento e calcolo: una immagine stereotipata della scienza. Teniamo comunque per buona questa immagine: gli scienziati compiono esperimenti e scrivono lunghe e complicate equazioni. Ci si potrebbe chiedere: quando la scienza pretende di avere il monopolio della razionalità? Quando la scienza avrebbe stabilito che una poesia, un quadro, una preghiera, un romanzo, un matrimonio, una canzone, una chiacchierata con gli amici, un caffè, una partita di calcio sono privi di senso?
Forse qualche scienziato ha espresso questa opinione, ma uno scienziato non è la scienza (e il Papa non è Dio, ma questo è un altro discorso).

Questo discorso sui limiti della razionalità scientifica assomiglia un po’ ad una scenetta comica. Si immagini un amante della montagna che discute con un amante del mare. «Questa estate vado in vacanza a Tolmezzo!» dice il primo. Il secondo, invece di affermare semplicemente la sua preferenza per la Maremma, ribatte: «La tua visione impoverisce la ricchezza paesaggistica italiana e mondiale, il tuo voler ridurre le mete turistiche a paesaggi verticali e lunghe passeggiate priva l’uomo dell’importanza dell’orizzontalità e del nuoto. Per il tuo bene, è meglio che il tuo atteggiamento limitante e avvilente venga limitato dal mio amore per il mare, altrimenti le potenzialità dell’essere umano verranno irrimediabilmente compromesse!».

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